CAOS FISSO

 

Non è sanza cagion l’andare al cupo

Inferno, VII, 10

 

 

 

 

Nella caduta, nella discesa, nella salita a rovescio dei dannati,

cerco nel quadro: il mio posto, in mezzo ai cammini di noi tutti

– ché c’è nel quadro un posto per tutti.

 

Ora mi scindo, masochista e sadico.

E giù, giubilano : la metà maso, felice, la metà sado felice

– e tutto, giù, giubila, felice del tutto.

 

Il giubilare, ora, non è un giubileo ufficiale

ma un giubileo segreto, universale,

un’indulgente festa quotidiana.

Perché all’hybris, la dismisura,

risponde la misura smisurata che la rimette al suo posto : al nulla.

 

Nulla di troppo

– il troppo è nulla –

tranne la troppa luce.

 

La misura è potenza trasgressiva, agressiva – letale –

nei confronti del cieco processo, senza oggetto, senza soggetto

della sostanza automatica, del capitale.

La misura è potenza inusata.

 

La misura non è tiepidezza,

la tiepidezza vomitata dalla bocca centrale,

da colà dove si puote ciò che si vuole,

dal motore di tutti i moti,

dal mozzo delle

rivoluzioni.

 

Non occorre nessuna legge esterna – di stato, di chiesa :

ve n’è già una, interna.

 

Être plus, en étant plus. Être plus en ayant plus c’est un faux être plus, et c’est encore un avoir plus.

Essere di più, essendo di più. Essere di più avendo di più non è : essere di più, ma resta un aver di più.

 

Estraneo

al trasumanar alto del Poeta,

falso transumanismo è esso

che non è infinito

ma falso infinito:

indefinito

finito

un otto chiuso su sé stesso

e finito gonfiato, come rospo bovino, esteso, ancora e sempre finito.

 

Noi siamo nati a Oriente,

siamo entrati in Occidente, la nostra sera,

dove la vita sta cadendo, dove noi stiamo scendendo.

E i nostri avveniri, in contraffatti muti canti,

giacciono, o chissà, risorgono

nelle nostre rovine, in mentecatti bruti pianti.

Dalle nostre rovine, quale speranza può spuntare?

quale semenza, svegliare: le nostre mattine?

 

Si tu déclines – et tu déclines –, décline bien

Se tu declini – e tu declini –, declina bene

pas mal non male

sinon tu tombes sennò tu cadi

et tu rejoins la fausse tombe. e tu vai alla: falsa tomba.

Or, il en est qui sont vraies, d’or.

Or, v’è che ce ne son di vere, d’oro :

all’oro dell’ora che ha l’oro in bocca.

 

E stiamo cadendo.

Se io non ti amo, stiamo : cadendo.

E se io ti amo, stiamo : comunque cadendo.

 

La caduta è caduta nostra.

Attratti dalla, e spinti dalla: gravità

noi stiamo tutti: gravitando,

e gravi siamo: gravidi

della, dalla caduta nostra,

della, dalla nascita nostra.

 

La caduta, il cadere, è nostra cattedra – fata fatale –

attratti dalla, e spinti dalla : nostra cattedra – destino finale –

la nostra sedia di pontefici, ché ognuno e tutti siamo,

ognuno, a fare il proprio ponte.

 

E la catastrofe

è quel che cade

e accade

fin dall’inizio.

E la catastrofe

fin dall’inizio

è all’inizio

è alla fine

il nostro fine.

 

La catastrophe est assidue. Elle est assise sur le monde, et elle est sise dans le monde, est l’assise du monde.

La catastrophe est ce qui tombe, et elle tombe en elle-même, tombe elle-même, tombe de soi. La catastrophe est ce qui tombe.

Elle tombe sur nous pour nous faire tomber avec elle et en elle qui tombe, dans sa tombe qui tombe. Elle-même est la tombe qui tombe, elle-même, en soi-même.

 

La catastrofe è assidua, seduta sul mondo, essa è sede del mondo e del mondo ne è l’asse, e l’assisa.

La catastrofe è quel che cade. Che accade e cade in se stessa, che da se stessa cade e accade, e accade da sé. La catastrofe è quel che accade.

E cade su noi per farci cadere con essa e in essa che cade, e che cade nel suo cadavere che cade a sua volta. Essa è in se stessa il suo cadavere che cade e che accade, a sua volta, in se stesso.

Il fisso

il caos

il fisso e il caos

sono due

opposti

polari

due opposti e polari

nella, dalla, della

stessa catastrofe contro-assiale

nella, dalla, della

stessa caduta contro-assiale

caduta fissa, caotica

caos fisso.

Il fisso e il caos, opposti,

non si oppongono l’uno all’altro

l’uno e l’altro si oppongono

all’andare oltre la caduta.

 

Nella, dalla caduta

nasce una voragine

ma nella, dalla voragine

nasce un monte

dov’emendare la caduta – con, della luce, le impronte.

Trascendere

è risposta allo scendere.

Trascendere non è salire

– stiamo cadendo, ad ogni modo, stiamo scendendo il pendio –

trascendere

è andar oltre allo scendere.

 

Noi tutti siamo i discendenti della prima catastrofe, la Shoah, la Nakba, quella prima, dalla prima creazione.

La catastrofe è scoppiata

come un grande scoppio

e s’è perpetuata

fin’alla nostra sera

– essa è nostra canzone.

Però fin dall’inizio, dalla catastrofe, nel corso d’essa perpetua, una riparazione – eterna – è in moto.

Tutto, a poco a poco, ne è riparato, lievemente, nel catastrofico tutto, impercettibilmente, nella tosse perpetua – che ci espettora tutti.

Ognuno ha il potere, il dovere, di riparare ; ognuno è chiamato a riparare. Ognuno è un mezzo di trasporto, e dell’idea e del suo atto, dell’idea gravida del suo atto.

Siamo tutti gli uni gli altri, al tempo stesso: mezzi di trasporto e riparatori di mezzi di trasporto. Ripariamoci gli uni gli altri.